Una Fiat che si chiama Desiderio
- giorgiocavagnaro
- 31 ott 2019
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La Millettrè ce l’aveva mio zio. Uno zione simpatico, di quelli che avevano avuto, da giovani, l’Harley Davidson rimediata chissà come, nel dopoguerra, e ci andava in giro collezionando aneddoti da raccontare ai posteri. Ma questa è un’altra storia.
La Millettrè era una Fiat degli anni sessanta, la Fiat dell’impiegato promosso capo sezione dopo decenni di vessazioni fantozziane. La rivincita del travet finalmente arrivato a uno stipendio decente, magari trecentomila al mese, la materializzazione del sogno vagheggiato a lungo attraverso le vetrine del concessionario di quartiere.
Ah, i concessionari. Luoghi irradianti luce propria, moltiplicata da pavimenti in marmo di Carrara e immense vetrate senza la più piccola macchia, luoghi simili, per l’italiano d’epoca, a cattedrali del desiderio peccaminoso. Gli oggetti concupiti erano lì, ostentati quasi oscenamente su piccole pedane che ne ampliavano l’effetto adescatore, come le prostitute olandesi esposte nei negozietti intorno alla Oude Kerk di Amsterdam. Guardare e non toccare. Comprare, per eventualmente toccare, firmare cambiali a pacchi, ipotecare il futuro proprio e della famigliola per poter mettere le mani sul volante in bachelite di quei gioielli, sirene di lamiera verniciata nei colori che rendono il desiderio più lancinante, dolore quasi fisico da scacciare tramite un solo, temerario atto: l’acquisto a rate.
Mio zio, uomo piuttosto corpulento, guidava placidamente la sua Millettrè azzurra, usando con piacere quasi carnale il cambio al volante di cui era dotata la sua vettura, ogni tanto dando dei colpetti su quel voluttuoso cerchio cromato che era il clacson, pari pari come quello delle macchine americane. Ecco cos’era la Millettrè: una vettura. Alla faccia dei pezzenti che circolavano con le 500 e le 600, piccole mosche fastidiose indegnamente chiamate automobili.
Mio zio era il legittimo proprietario di una Millettrè, per giunta corredata dell’accessorio più elegante che ci fosse in quel momento

: le fasce bianche a guarnire i quattro pneumatici.
Noblesse oblige.
le fasce bianche degli pneumatici hanno sempre fatto correre la mia mente alle ghette di George Raft in A qualcuno piace caldo. Immacolate, mentre si consumava la strage di San Valentino. Ed il mitico George di gangster ne sapeva abbastanza.