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Gran Premio

  • giorgiocavagnaro
  • 25 gen 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Il cielo non prometteva niente di buono, trasmettendo quell’elettricità che, nelle corse importanti, può fare la differenza, nel bene e nel male.

Se poi tutti i piloti sono un po’ metereopatici, il pilota n°1 della Ferrari lo era più di tutti e il tragitto che conduceva alla pista fu per lui un tormento. Più cercava di imporsi di non scrutare lo strato compatto di nuvole incombente, più lo sguardo schizzava, beffardo e incontrollabile, verso l’alto, alla ricerca di un’improbabile schiarita. Il campione era nervoso.

D’altra parte, le prime guide di Lotus e McLaren non stavano granchè meglio. La pista bagnata è sempre un terno al lotto: roba per specialisti, giocolieri un po’ fuori di testa pronti a tutto pur di sfruttare l’occasione di vincere un Gran Premio.

I tre rivali, in lizza per il campionato del mondo conduttori, erano ai primi tre posti nella griglia di partenza. Esaurite tutte le formalità, non restava che dare via libera alle macchine infernali, acquattate sulla linea a scacchi come centometristi ai blocchi in una finale olimpica.

Dopo pochi giri, dietro i primi tre c’era già il vuoto e fu chiaro a tutti che toccava a loro e solo a loro giocarsi una vittoria fondamentale per la classifica mondiale. Pioggia permettendo, naturalmente. Ma il tempo

per ora reggeva, in quella domenica cupa del 1968.

A scattare per primo era stato il pilota della Lotus, e dopo cinquanta giri era ancora in testa, anche se la sua scelta di montare gomme eventualmente adatte anche alla pista bagnata poteva penalizzarlo, nel finale di gara infuocato che si stava profilando. Il campione della Ferrari tentava ad ogni curva di sorprenderlo, sottoponendolo a uno stress quasi insopportabile in una sarabanda che durò, tra mille emozioni, fino all’ultimo giro.

Sarà stata la tensione emotiva, le gomme ormai al limite o la feroce determinazione del pilota che guidava la macchina rossa. O magari un po’ di brecciolino all’interno dell’ultima curva, chissà. Fatto sta che la Ferrari proprio in quell’ultimo momento utile riuscì a mettere il muso davanti, spingendo la Lotus all’esterno, uscendo in testa dall’ultima curva e presentandosi davanti, di un soffio, sotto la bandiera a scacchi.

Si era ormai fatta sera e la pista dei go-kart, al piccolo Luna Park di via Nomentana, stava per chiudere. Aveva cominciato a piovere, mentre Emilio, Marco e Mario tornavano a casa discutendo eccitati, scambiandosi accuse e recriminazioni. Ma Emilio, il pilota della Ferrari, aveva il sole dentro il cuore e non gli importava un piffero di bagnarsi. Perché lui aveva vinto il Gran Premio, quella domenica. E fino alla domenica successiva era lui il re. I piloti della Lotus e della McLaren potevano rassegnarsi, ma senza disperarsi troppo: il campione sarebbe stato magnanimo, con gli sconfitti.

 
 
 

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