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Ripensando a Morbegno

  • giorgiocavagnaro
  • 16 nov 2019
  • Tempo di lettura: 2 min

Tornando alla casa di Morbegno, di cui vi ho già parlato, mi sono accorto che il mio racconto mancava di qualcosa di decisivo. Ho inseguito questo qualcosa per un paio di settimane, e forse ci sono arrivato, ad afferrarlo.

I miei scritti sono ormai tanti, forse eccessivi, forse ingombranti. Ho spesso scritto di me, sempre con la sottile ansia che non fosse interessante, che i lettori si stufassero di leggere vizi privati e pubbliche virtù, o magari il contrario, con l’illusione che una parte, anche piccola, potesse centrare l’obiettivo che è alla base di ciò che uno scrittore fa, per sentirsi tale: essere specchio di umanità.

Nell’umanità, naturalmente, è compreso anche lo scrittore, cioè io, in questo caso. Scrivere per riflettersi e riflettere, senza rompere troppo i coglioni, ecco la formula magica.

E allora Morbegno? Ecco, ci arrivo.


Mio fratello e sua moglie sono piuttosto anziani. Non è stato possibile, con quasi vent’anni di differenza tra noi, rapportarsi reciprocamente come fratelli, secondo il modello vigente in società. Motivi anagrafici, ovvio, ma anche mille altri, correlati o meno. Per ritagliare un rapporto reciproco che fosse originale ma autentico è mancato il tempo, la voglia, forse le occasioni.

Nella casa di Morbegno si cenava presto, in cucina. Si vedevano cinque minuti di notizie al telegiornale, in un piccolo televisore, poi due chiacchiere davanti al camino acceso. Buonanotte, buonanotte, salire per le scale di pietra, percorrere un pavimento di legno che scricchiola a dovere, scomparire ognuno nella propria stanza . A leggere qualcosa, a pensare, a dormire pacificamente.

La mattina, colazione e programma della giornata: bellezze e ristoranti della Valtellina, tesori a me fino allora sconosciuti.

Ma attenzione, ecco il punto: niente di tutto ciò ha richiesto il mio apporto fattivo, mie responsabilità specifiche e precise. Tutto a carico dei miei ospiti, come non succedeva da diversi decenni.

Ho vissuto, per tre giorni, da figlio. Non è il sogno di tutti?

 
 
 

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