Monte Antenne

Un mio amico aveva il Dingo. Anzi, ad essere precisi, un Dingo Cross, verde come quello della foto. Molto più fascinoso del pur elegante Dingo GT, bianco e nero. Parliamo dei tempi del liceo, a cavallo del 1970, e di due motorini cilindrata 50cc della Guzzi, che erano veri capolavori, piccole moto a tutti gli effetti ma senza targa e senza paura.

Che adolescenza sarebbe stata la mia, senza quel Dingo del mio amico Roberto? O senza il Corsarino di Diego, la Lambretta di Massimo? O addirittura senza il Trotter di Chico? Sottrai agli anni tra il 1967 e il 1972 il calcio e i motorini e il risultato sarà molto vicino allo zero.

Col Dingo Cross si andava a Monte Antenne, a saltare. Ben lontani dal sapere che il nome di quella collina veniva dall’essere affacciata proprio alla congiunzione tra Tevere e Aniene (ante amnes), si arrivava, col batticuore, a una serie di strani sentieri fortemente ondulati, dove i motorini da cross andavano a nozze, schizzando in alto come nelle gare vere, fermando il battito cardiaco per secondi che sembravano eterni, in attesa dell’atterraggio.

Che non era sempre garantito, almeno nella sua forma canonica e corretta. Infatti una volta, alla guida del mio Piranha Italjet, finalmente ottenuto dopo anni di lagnanze e cadute sull’asfalto come passeggero del Dingo, spiccai un balzo record. Troppo. Bastò un lieve scostamento di assetto, dovuto alla fottuta paura che mi attanagliò in volo, e precipitai scompostamente.

Ahi, dura terra, perché non ti apristi? Diego corse a raccogliermi, convinto che fossi spacciato, ma trovò solo un pilota poco ammaccato nel fisico e molto nell’orgoglio. Sorridevo, irresponsabile, mentre Diego invece rideva a crepapelle. Perché avevo la bocca piena di terra e ciuffi d’erba, e l’effetto era esilarante. Immagino.