Il ristorante irraggiungibile
- giorgiocavagnaro
- 18 nov 2019
- Tempo di lettura: 2 min
Carlo ha un cane spettacoloso. Un lupetto cucciolo affettuosissimo ma incontenibile per vitalità: un terremoto. E guai se lo fate incazzare. Io e Carlo dormiamo insieme, e il lupetto in genere se ne sta buono da una parte, ma non stavolta. L’ho fatto incazzare e non riesco a ricordare come e perché, mannaggia. Fatto sta che cerca di mordermi in tutti i modi, e ci riesce!
Per fortuna la camera dove dormiamo è una camera di ospedale, e Carlo mi consiglia di andare dal medico di guardia a far vedere le mie ferite, che sono tante e sanguinano pure un po’. Il medico mi applica una strana crema sulle ferite, ma non sembra convinto, teme per un’infezione grave. Io però non posso permettermi di preoccuparmi troppo per me: in ospedale devono operare Lorenzo, mio figlio. Conosco i medici che si occupano di lui, sono vecchi amici, ma fino all’ultimo non si può sapere chi sarà di turno, per operarlo. Potrebbe essere il mio amico Maurizio, il quale si è appena esibito sul palco di una festa dell’Unità, cantando quel pezzo dei Genesis di cui non mi ricordo il titolo. Bravino, sì, lo vedo addirittura in Tv, ma io la cantavo molto meglio, cazzo. Sta cosa mi rode un po’ ma gli regalo lo stesso una felpa con una Lamia, il serpente della canzone più bella dei Genesis stampata sopra. Non si sa mai, magari Lorenzo lo opera lui.
Nell’attesa, ai giardinetti di piazza Bologna mamma e babbo prendono accordi con dei chirurghi famosi, tra cui Califano. Tutti a cena a quel famoso ristorante di via Torino. Figuriamoci. Mamma e babbo non sono mai andati al ristorante in vita loro, almeno da quando ci sono io, speriamo non facciano brutte figure.
Insomma, loro si dirigono verso le macchine che non hanno mai avuto per andare in centro, al ristorante. Io, furbo, li raggiungerò in motorino, il mio vecchio Peugeot che è lì ai giardinetti: non avrò problemi di parcheggio, io.
Già, ma non è una buona idea, dopo tutto. Dopo nemmeno un chilometro, si rompe il filo del gas e sono in campagna! Una strana campagna, con strade sterrate e saliscendi che sembrano scavati nella roccia, tortuosi e deserti. Ma provo a fare come quando ero ragazzino: tiro fuori il filo del gas dal suo involucro, metto in moto il motorino e tiro il filo, che è tutto sfrangiato, per usarlo come acceleratore diretto, senza manopola. Il filo è lunghissimo, sembra non finire mai, ma alla fine funziona e corro come un pazzo per questi saliscendi rocciosi e polverosi. Ma alla fine il filo si stacca definitivamente, il motorino mi abbandona per sempre proprio davanti a una trattoria di campagna dove la mia amica Manuela, famosa attrice, sta cenando col marito e certi amici suoi. Ridacchiano un po’, poi Manuela mi dice: ” ma sì, il ristorante di via Torino, non è lontano, vai di qua poi giri a destra e sei arrivato”.
Mi incammino fiducioso, anche se immagino che mamma e babbo siano in difficoltà, coi chirurghi famosi e soprattutto con Califano, mentre Lorenzo a quest’ora magari sarà in camera operatoria e io non posso avere notizie.
La città si intravede sullo sfondo ma io, cammina cammina, sono ancora in campagna.
Non ce la farò mai.

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