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La Biondina

  • giorgiocavagnaro
  • 22 ott 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

Nicoletta era bellissima.

Meravigliosa, incantevole, sublime. Magari esagero, lo so. Un collega, anziano ma molto vissuto, con fama di tombeur de femmes, diceva “Chi? Quella? Ma pare una vecchietta, pare!” Niente di più sbagliato. Nicoletta aveva capelli biondi, un po’ scompigliati, un nasino dipinto da Dio e la bocca perfetta, carnosa ma delicata, sottolineata dal rossetto altrettanto carnoso ma delicato. Il fisico era minuto, d’accordo. Ma al tempo, avrò avuto trent’anni, non mi impressionavano le tette imperiose, sfrontate, e nemmeno i sederi arroganti. Mi perdevo nei visi esangui, nel languore di lineamenti che forse le proprietarie stesse maledicevano e cercavano di mettere in risalto con un trucco destinato a rivelarsi fatalmente eccessivo. Non quello di Nicoletta, però. Lei preferiva stupire, se proprio doveva, puntando sul vestito originale, su un accessorio eccentrico, del tutto unico e personale. Come la borsa che aveva quel giorno di giugno: una valigetta simile a una ventiquattr’ore ma di legno leggero, dipinta di bianco con disegnini azzurri. Da restarci secchi.

Era ormai un annetto che lavoravo alla “Underground”. Una società zeppa di raccomandati, saremo stati almeno duecento. Lo ero anch’io, naturalmente. Ma quella che credevo fosse una posizione di forza perdeva punti giorno dopo giorno, polverizzata dall’amara consapevolezza che la quasi totalità dei colleghi aveva santi in paradiso ben più potenti del mio. Non restava che lavorare onestamente, senza eccedere nello stress, godersi le pause pranzo e i caffè alla macchinetta dilatando il tempo dello svago al limite delle impiegatizie possibilità.

Nicoletta detestava mangiare in mensa, sotto quattrocento occhi pettegoli e pronti ad attivare duecento lingue maldicenti. Così avevamo stipulato un tacito accordo, che prevedeva l’esplorazione, tramite passeggiata a piedi, dell’area deprimente dove sorgevano gli uffici dell’”Underground”. Strade moderne con aiole di prato ben tenute, che collegavano edifici anche architettonicamente degni di nota, ma piazzati nel nulla più assoluto. Un chioschetto sgangherato, posizionato in quell’area, avrebbe venduto ghiaccioli a dicembre e termocoperte elettriche a luglio, con frotte di impiegati a litigarsi l’ultimo esemplare di qualunque cosa, a prezzi d’affezione.

Io seguivo il suo passetto affrettato senza perdere una parola dei suoi discorsi, che mi sembravano tutti interessanti e intelligenti, perfino ironici, una vera rarità. La magìa di un rapporto che prendeva forma passeggiata dopo passeggiata, nel modo più naturale e giusto.

E qui inizia la parte peggiore della storia.

Seduti sul prato impeccabile di un’aiuola, all’ombra di un pino marittimo, il silenzio tra noi si stava prolungando in modo inconsueto, creando una tensione anomala. All’improvviso lei rompe gli indugi: “Cosa fai quest’estate?” Domanda innocua solo apparentemente, perché gravida di eventuali, promettenti, illimitati programmi. Il mondo si squadernava davanti ai nostri occhi, aerei in partenza, capitali europee da esplorare insieme, l’inizio di una meravigliosa favola che cominciava a farsi più concreta, tangibile.

Fu in quel momento, giuro, solo in quel momento che capii. Dovevo rispondere la verità, la mia natura e le circostanze me lo imponevano senza possibili alternative.

“Mah…ancora non lo so. Con mia moglie non ne abbiamo ancora parlato.” La parola “moglie”, uscita dalla gola come un rantolo mortale, risuonò prima dentro di me, che l’ascoltavo incredulo, poi rimase sospesa nell’etere vibrando per un tempo imprecisato come un sismografo impazzito.

“Ah, ok, certo.”

Dopo diversi anni, non lavoravo più alla “Underground”, capitai di nuovo in quei desolati paraggi. Un saluto ai vecchi colleghi, un caffè, due risate, gli aggiornamenti di rito. “Chi? Ah, Nicoletta, la biondina. No, è andata via. Si è sposata con Chiodetti, dell’amministrazione, te lo ricordi?”

No, non mi ricordo di Chiodetti o forse sì, uno stoccafisso con gli occhiali, buongiorno e buonasera. Bè ci vediamo ragazzi, mi ha fatto piacere.


 
 
 

1 comentário


valecicc
22 de out. de 2019

ritmo cadenzato, lessico ricco e differenziato. Assenza di stereotipi e di luoghi comuni:una prosa alla Steimbeck!

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